giovedì 21 novembre 2013

Nel momento in cui si pubblicano informazioni e foto sulla pagina dedicata al proprio profilo personale sul social network Facebook, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d. “amicizie” accettate dall’utente, il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili da terzi ed utilizzabile anche in sede giudiziaria.
 
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
Volontaria Giurisdizione
Il Collegio, sciogliendo la riserva espressa all’esito dell’udienza camerale del 13.06.2013; letti gli atti, esaminata la documentazione e sentite le parti personalmente;
OSSERVA rilevato che la ricorrente ha chiesto la modifica delle condizioni della separazione consensuale omologata il 31.05.2011, nella quale era previsto che entrambi i coniugi rinunciavano all’assegno di mantenimento deducendo, quale fatto sopravvenuto, che in data 5.07.2011 era stata licenziata e che, inoltre, era affetta da grave patologia, con conseguente
difficoltà di svolgere attività lavorativa; in conseguenza di ciò ha chiesto porsi a carico del marito un assegno per il proprio mantenimento di € 700,00;
rilevato che il resistente ha eccepito il peggioramento della propria situazione reddituale ed ha dedotto che la moglie intrattiene una relazione con un medico ortopedico sin dal 2010, relazione che le consente un tenore di vita anche superiore a quello in costanza di matrimonio;
considerato che, com’è noto, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 11488/2008), per la revisione delle condizioni della separazione e/o di divorzio, è necessario dimostrare che siano sopravvenuti fatti nuovi, modificativi della situazione in base alla quale la sentenza era stata emessa, o gli accordi erano stati presi;
considerato, inoltre, che, secondo l’orientamento costante della Corte di Cassazione in tema di assegno di mantenimento e divorzile, l’instaurazione di una relazione more uxorio stabile da parte del coniuge avente diritto all’assegno incide nel senso di determinare una sospensione del diritto a percepire l’assegno di mantenimento; ciò, tra l’altro, alla luce del fatto che viene meno il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale (cfr. Cass. n. 3923/12, n. 17195/11 e n. 17643/07);
ritenuto che, nel caso di specie, le risultanze documentali abbiano dimostrato la sussistenza di una relazione sentimentale duratura e stabile con il dott. B. Ga.; ritenuto che, in particolare, tale circostanza risulti documentata, in primo luogo, dalle fotografie e dalle informazioni tratte dal social network “Facebook”: in queste ultime, infatti, nelle informazioni di base relative al c.d. profilo della ricorrente, sotto la voce “situazione sentimentale” viene indicato espressamente “impegnata con N.B.”. Inoltre, vi sono numerose foto tratte dal c.d. profilo “Facebook” della ricorrente, che la ritraggono con il dott. B., foto pubblicate sul profilo in diversi periodi dell’anno ed in diverse località, anche turistiche. Sul punto, per completezza motivazionale, si osserva che tali documenti devono ritenersi acquisibili ed utilizzabili: è noto, infatti, che il social network “Facebook” si caratterizza, tra l’altro, per il fatto che ciascuno degli iscritti, nel registrarsi, crea una propria pagina nella quale può inserire una serie di informazioni di carattere personale e professionale e può pubblicare, tra l’altro, immagini, filmati ed altri contenuti multimediali; sebbene l’accesso a questi contenuti sia limitato secondo le impostazioni della privacy scelte dal singolo utente, deve ritenersi che le informazioni e le fotografie che vengono pubblicate sul proprio profilo non siano assistite dalla segretezza che, al contrario, accompagna quelle contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica (o di chat) fornito dal social network; mentre queste ultime, infatti, possono essere assimilate a forme di corrispondenza privata, e come tali devono ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, quelle pubblicate sul proprio profilo personale, proprio in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da soggetti terzi, sebbene rientranti nell’ambito della cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di informazioni conoscibili da terzi. In altri termini, nel momento in cui si pubblicano informazioni e foto sulla pagina dedicata al proprio profilo personale, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d. “amicizie” accettate dall’utente, il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili da terzi ed utilizzabile anche in sede giudiziaria;
considerato, inoltre, che la relazione di convivenza stabile della ricorrente con il dott. B. Ga. presso il medesimo di residenza è stata riscontrata anche dalla Polizia Municipale negli accertamenti ad essa delegati dal Tribunale;
considerato che, quanto al dedotto problema di salute della ricorrente, lo stesso era già esistente, per sua stessa ammissione, al momento della separazione; considerato, ancora, che la ricorrente ha riferito che dopo il licenziamento avvenuto nel 2011 ha percepito per un periodo l’indennità di disoccupazione ed ha cercato di reperire un lavoro senza esito;
ritenuto che, da un lato, non sia stata fornita prova che la ricorrente, dotata di capacità lavorativa, avendo lavorato per circa tredici anni, si sia effettivamente adoperata per trovare lavoro e, dall’altro lato, che, in ogni caso, l’instaurazione del rapporto di convivenza stabile accertato abbia fatto venire meno, almeno allo stato, il parametro dell’adeguatezza al mantenimento del tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale; ritenuto che, in particolare, l’instaurazione della convivenza stabile costituisca una circostanza tale da escludere il diritto a percepire un assegno di mantenimento;
ritenuto che, pertanto, la domanda vada rigettata;
ritenuto, quanto alle spese processuali, che le stesse debbano seguire la soccombenza; stante l’entrata in vigore del D.M. n. 140/12, che ha modificato la disciplina delle spese di giustizia prevedendo un compenso complessivo per il professionista in luogo della distinzione tra diritti ed onorari, le spese sono liquidate d’ufficio applicando i valori medi di liquidazione di cui allo scaglione di riferimento (fino ad € 25.000,00) ridotti di un terzo, attesa la natura semplificata e de-procedimentalizzata della presente procedura;
ritenuto che non possa accogliersi la domanda di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni per lite temeraria, per mancanza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo alla stessa, anche in considerazione della complessità e novità delle questioni giuridiche sostanziali e processuali affrontate.
P.Q.M. rigetta la domanda; condanna G. C. al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 1.400,00 per compenso professionale ex D.M. n. 140/12, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in S. Maria C. V. nella Camera di Consiglio del 13.06.2013

mercoledì 20 novembre 2013

DANNO CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA
Cass. Civ. Sez. III 17/10/2013 n. 23584
Svolgimento del processo
1.- Con sentenza del 27.5.2003 il Tribunale di Como rigettò la domanda, proposta nel 2000, con la quale L.O. aveva chiesto la condanna di Factory Store s.p.a. a risarcirle i danni subiti a seguito di una caduta, avvenuta il (OMISSIS), nel negozio gestito dalla convenuta in (OMISSIS). L'attrice aveva sostenuto di essere inciampata in uno scivolo metallico scarsamente visibile che congiungeva due diversi livelli dell'esercizio commerciale.
2.- La Corte d'appello di Milano, con sentenza n. 2772 del 13.11.2006, ha respinto il gravame della L. sul rilievo che lo scivolo, come già ritenuto dal Tribunale, era visibile e ben distinto dal pavimento e che la caduta era da attribuire a disattenzione della L.; sicchè, per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c., doveva ritenersi interrotto il nesso eziologico tra cosa ed evento di danno.
3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la soccombente affidandosi a due motivi, cui Factory Store resiste con controricorso.

Motivi della decisione
1.- Col primo motivo la sentenza è censurata per falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. nella parte in cui ha escluso la sussistenza di nesso eziologico fra cosa e danno.
Vi si sostiene che nella responsabilità di cui alla disposizione citata non viene in rilievo il carattere insidioso della cosa, sicchè era nella specie irrilevante che lo "scivolo" (ma, recius, il passaggio inclinato) fosse visibile, dotato di corrimano e di superficie antiscivolo, essendo sufficiente per la configurazione della responsabilità del custode il nesso causale tra cosa e danno, nel caso in esame "risultato dalla circostanza (non contestata) che la signora L. cadde per terra perdendo la scarpa che essa indossava, per essersi il tacco della medesima impigliato nel bordo (leggermente sopraelevato) del già citato manufatto". A tale sopraelevazione era appunto da correlarsi, come causa o concausa dell'evento di danno, l'insorgenza del processo dannoso della cosa, pur priva di idoneità a produrre danni per sua natura. In conclusione, il danno andava correlato alla sopravvenuta anomalia della cosa (appunto la sopraelevazione) e non al comportamento della danneggiata, comunque palesemente irrilevante ai fini di un'eventuale interruzione del nesso eziologico.
2.- Col secondo motivo è dedotta omessa e contraddittoria motivazione su fatto decisivo, per avere la Corte ritenuto irrilevante la direzione tenuta dalla L. e per non avere preso in considerazione la richiesta di prova sul fatto che ella, al momento della caduta, si accingeva a salire sullo scivolo al fine di raggiungere il livello superiore dello stesso piano.
3.- I due motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per l'intima connessione che li connota, sono infondati.
L'art. 2051 cod. civ., stabilendo che "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito", contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all'irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa all'adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi.
A tanto, peraltro, fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa. Quando il comportamento di tale secondo soggetto sia apprezzabile come incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito, che va bensì compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela. Quando la conclusione sia nel senso che, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa, la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi integrato il caso fortuito.
Di tali principi la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione dopo aver ritenuto in fatto che "l'appellante era inciampata sul bordo dello scivolo metallico leggermente sopraelevato, perdendo la scarpa per essersi il tacco impigliato nel bordo dello scivolo e cadendo quindi per terra" e poi considerato che "ai fini della causa non rileva la direzione tenuta dalla L., quanto la visibilità dello scivolo stesso, distinto dal pavimento, come evidenziato dalle foto prodotte e la cui visibilità non poteva essere adombrata dall'esistenza del manichino".
Il ricorrente non espone d'altronde in ricorso quanto alta fosse la "leggera" sopraelevazione del bordo dello scivolo, nè quanto spesso (o sottile, tale dunque da innalzare il livello di necessaria cautela) fosse il tacco, sicchè non offre supporti idonei ad evidenziare la possibile decisività di elementi in ipotesi pretermessi. La considerazione dei quali ha evidentemente indotto il giudice del merito alla conclusione che era indifferente la direzione della vittima, nel senso che la ricorrenza degli estremi della responsabilità del custode andava esclusa quand'anche ella si fosse accinta a percorrere il passaggio dal basso verso l'alto.
4.- Il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2013


giuridicamente parlando : VIAGGI “ALL INCLUSIVE”: TUTTO COMPRESO, ANCHE IL RISARCIMENTO

VIAGGI “ALL INCLUSIVE”: TUTTO COMPRESO, ANCHE IL RISARCIMENTO